"...per comunisti intendo la gente comune, che crede in un ideale e ha creduto nella possibilità di un benessere steso, come una coperta calda, su ogni uomo, donna e bambino." Luca B.

venerdì 8 aprile 2011

QUO USQUE TANDEM ABUTERE PATIENTIA NOSTRA?

Cercando la prima  orazione di Cicerone contro Catilina, mi sono imbattuto in una traduzione, a dir poco, interessante. Difficile rendere, dal latino all'italiano, il senso concreto di ciò che l'autore aveva inteso, i modi di dire, il significato che le parole avevano all'epoca  e che, col passare del tempo, è mutato. Ogni traduzione, è vittima di se stessa. All'autore di questa traduzione, è venuta in soccorso l'attualità. Per avere una cognizione, esatta, dell'atmosfera e del clima in cui è stata scritta, bisognava vivere le stesse condizioni del tempo di Cicerone. Mai, in più di duemila anni di storia, un periodo come quello si era ripresentato.  Questa versione, è sicuramente libera, ma non si discosta molto dall'originale, siamo noi semmai, leggendola, a darle significati estranei al contesto. Ogni riferimento a fatti o persone, è veramente casuale, dato che Cicerone non avrebbe mai pensato, che gli italiani, dopo due millenni, fossero ancora tanto imbecilli. Mi sono permesso di tradurre alcune parti che l'autore, di cui non conosco il nome, aveva lasciato in latino, ma non ho mutato il testo.

Fino a quando, Catilina, intendi dunque abusare della nostra pazienza?

Per quanto tempo ancora dovremo sopportare la tua invereconda richiesta d'impunità?
Fino a che punto si spingerà la tua irrefrenabile sfrontatezza?
Non ti turbano il presidio notturno del Palatino, la sete di Giustizia e di Legalità, l'angoscia del popolo, le proteste di tutti i cittadini onesti, e neppure la somma funzione di questo consesso, da te sovente vilipeso, né ti inquieta il degrado del Senato mutato in foro boario dalla tua sordida ambizione, né ti angoscia l'adirata espressione degli ultimi boni viri (uomini probi e giusti) rimasti che, noncuranti dei malvezzi tuoi, incarnano imperterriti lo spirito immortale dei Padri Costituenti?
E come potresti ravvederti? Insofferente come sei al rispetto della Legge, ti manca perfino il senso dello Stato, di quello Stato di cui pure ti servi per darti una parvenza d'improbabile dignità.
Non ti accorgi che le tue malefatte sono ormai di pubblico dominio?
Non ti rendi conto che il tuo complotto è ostacolato dal fatto che tutti qui ormai ne sono a conoscenza?
Credi forse che qualcuno di noi ignori che cosa hai fatto la notte scorsa e quella precedente, in quale bordello sei stato, quali congiurati hai convocato, quali leggi ad personam (non traduco, purtroppo lo sappiamo tutti!) hai commissionato e preteso e quali sciagurate decisioni hai preso?
O tempora! O mores! (Oh tempi! Oh costumi!) Il Senato è al corrente delle tue trame e delle tue corruttele, il Supremo Magistrato conosce le tue macchinazioni: eppure lui continua a vivere. A vivere?
Non solo, ma addirittura viene in Senato, finge un interesse di facciata palesando un'ignavia corriva e mortale per le sorti del Bene Comune.
Quanto a noi, uomini di grande coraggio, siamo convinti di fare abbastanza per lo Stato, svelando i furiosi tentativi eversivi di costui, tesi a infrangere la Legge e a sovvertire, pro domo sua (a suo favore), le regole dell'ordinamento democratico. Avresti meritato d'esser già messo in condizione di non nuocere a nessuno, Catilina, men che meno allo Stato; su di te avrebbe dovuto riversarsi quella sventura che da lungo tempo incombe purtroppo su noi tutti.
Eppure contro di te, Catilina, un decreto del Senato severo ed energico lo possediamo: lo Stato non è privo della saggezza e della capacità di decisione del collegio senatorio; siamo noi consoli e rappresentanti del popolo, lo riconosco davanti a tutti, siamo noi a esser venuti meno al nostro dovere.
Infatti, abbiamo a disposizione un senatus consultum de re publica defendenda (decreto del Senato per la difesa della Repubblica) la cui efficacia è ben nota a tutti, eppure non vi ricorriamo, lo lasciamo inapplicato e ben chiuso nella pavida coscienza, come una spada nel fodero.
In base a tale determinazione, Catilina, avresti dovuto ricevere senza indugio l'interdizione perpetua dai pubblici uffici. Invece ti comporti e detti legge non per moderare la tua arroganza, ma per rafforzarla. Ma, quando ormai non si troverà più nessun uomo, tanto ingiusto, tanto corrotto, tanto simile a te, sarai allora chiamato a rispondere dei tuoi crimini. Finché ci sarà un solo servo che oserà difenderti, vivrai, ma vivrai come stai vivendo ora, assediato dalla tua scorta in modo che tu non possa ordire più oscure trame contro lo Stato.
Molti occhi e molte orecchie ti osserveranno e ti ascolteranno, senza che tu te ne accorga, come hanno fanno finora, così da costituire inoppugnabili fonti di prova allorquando sarai condotto con l'ignominia che meriti sul banco degli imputati.
O dei immortali! Che gente siamo? In quale nazione abitiamo, che governo abbiamo mai?
Qui, proprio qui in mezzo a noi, o senatori, in quest'assemblea, la più sacra e la più autorevole della terra, sono seduti quelli che tramano la fine della Res Publica, la distruzione di ogni principio di Libertà, Uguaglianza e Giustizia, perfino la morte stessa della Democrazia.
Che cosa c'è, Catilina, che ti possa trattenere ancora in questa nazione, nella quale non vi è nessuno, tranne la cricca dei tuoi scellerati complici, che non ti tema, che non ti abbia da sempre in odio?
Quale marchio di immoralità non bolla la tua vita privata?
Quale abuso di potere non rivela l'illegalità del tuo pubblico agire?
Quali azioni disonorevoli non macchiano la tua fama? Da quale dissolutezza rifuggirono mai i tuoi occhi, da quale delitto le tue mani, da quale esecrando scandalo la tua persona?
Quale pessimo ottimato, quale adolescente e meretrice, dopo averle irretite con gli allettamenti della tua corruzione, non hai spronato al delitto, al tradimento o alla passione più sfrenata? Che dire di più?
Quando, poco tempo fa, con la separazione della tua seconda moglie hai trasformato il talamo nuziale in alcova, non hai forse sommato alla protervia del libertino vanesio l'insolenza del satiro impenitente?
Fingo d'ignorare l'origine delle tue inindagabili ricchezze: ti accorgerai alle prossime Idi di marzo della minaccia che incombe sul tuo impero; ma è meglio non soffermarsi più di tanto sull'obbrobrio della tua vita privata, pur se quella ogni giorno intacca il Bene dello Stato e aggredisce la vita e la salvezza di tutti noi. Ma dimmi che vita è ora la tua? Ormai io ti rivolgo la parola non mosso dall'odio, come dovrei, ma dalla misericordia che tu peraltro non meriti.
Tu, nonostante riconosca, per la conoscenza che hai dei tuoi crimini, che perfino l'odio è giustificato e dovuto a te da tempo, esiti tuttavia ad allontanarti dagli occhi e dalla presenza di quelli cui ferisci la mente e l'anima.
Ora a odiarti e temerti è la Patria intera, madre comune di tutti noi, convinta che tu non accarezzi altro progetto che non sia la tua salvezza e la sua distruzione, poiché non rispetti l'autorità, denigri le Istituzioni, non accetti le sentenze; ma, forse, più di tutto dovrai finalmente iniziare a temere la forza vindice e pertinace del suo Popolo che come brace arde sotto la cenere del malcontento, pronta a divampare veemente al primo alito di vento.
Vista la situazione, Catilina, poiché non sei in grado di comportarti con decoro e dignità, perché non vai in esilio e affidi la tua vita, benché meritevole di soggiornare nelle patrie galere, a quella forma di fuga che è la dorata solitudine in qualche paradiso fiscale sparso nel tuo parco mondo?
Ma perché sprecare ancora fiato? Con la speranza forse che qualcosa ti pieghi, che prima o poi tu ti corregga e faccia ammenda delle tue scelleratezze, che tu giunga finalmente alla decisione di abbandonare il suolo patrio?
Ma non si deve pretendere che tu sia spinto dai tuoi vizi a temere le pene sancite dalla Legge, che ti sacrifichi per la difficile situazione in cui versa a cagion tua lo Stato intero. Infatti, Catilina, non sei certo il tipo che la vergogna trattiene dal compiere un'azione infamante o la paura dall'affrontare una contesa o la ragione dal commettere una follia.
Vattene insieme alla schiera impudente dei tuoi fidi scherani, raccogli i tuoi servi e le tue puttane, raccatta i cittadini peggiori e allontanati per favore dai migliori!
Vattene insomma una buona volta per tutte, là dove già in precedenza ti trascinava la tua sfrenata e insana mania, poiché ciò non ti provoca rimorso alcuno, ma una sorta di sconvolgente voluttà: per tale follia ti ha generato la natura, ti ha allenato la volontà, ti ha protetto il destino.
Hai scelto di dividere la tua sorte con quella di una masnada di mascalzoni, un'accozzaglia di uomini inetti e perduti, dediti come te al meretricio, non solo traditi dal Fato, ma anche privi di qualsivoglia aspirazione non segnata dall'olezzante afrore della pecunia.
Con loro chissà che felicità potrai sperimentare, quali gioie ti faranno esultare, quale immenso diletto ti inonderà quando ti accorgerai che in un così numeroso gruppo di manutengoli e leccaculo non ne ascolterai uno e non ne potrai vedere un altro che sia perbene.
A questo genere di vita erano indirizzate le tue fatiche, di cui si favoleggia: dormivi fuori dal tuo letto non solo per progettare un adulterio ma anche per commettere un delitto, vegliavi non solo per insidiare il sonno dei mariti ma anche i beni di cittadini onesti.
Mai in questa Nazione chi si è messo contro lo Stato ha potuto conservare i diritti civili.
Tuttavia, se pure non può mancare il timore di incorrere nel biasimo dei benpensanti, si può forse temere di più quello proveniente dall'aver operato con severo vigore oppure quello attirato da una malvagia indolenza? Quando l'Italia sarà sconvolta dalla ribellione, le città devastate, gli edifici dati alle fiamme, forse solo allora tutti verranno travolti dall'incendio del biasimo e si riavranno dal loro torpore.
Già da parecchio tempo, o senatori, ci troviamo in questo insidioso pericolo della congiura di Stato ordita dai suoi maggiorenti e giova a ben poco rammentare che il culmine di tutti i delitti, del furore antico e del dispotismo recente è stato raggiunto proprio nel corso degli ultimi tre lustri a causa di chi ha frodato il popolo di Roma e la gens italica abusando oltremodo del potere usurpato con l'inganno.
Se dunque di tutta questa banda di masnadieri viene eliminato soltanto il capo, forse ci illuderemo di esserci liberati dalla preoccupazione e dal terrore, ma per brevissimo tempo, giacché il pericolo perdurerà rimanendo chiuso nel profondo, nelle vene, nei gangli vitali e nelle viscere dello Stato.
Come spesso accade a chi è gravemente ammalato e, in preda all'arsura della febbre, beve dell'acqua fredda provando momentaneo sollievo e non comprende che in seguito le sue condizioni peggioreranno, così questo morbo che ora affligge la Repubblica, seppure alleviato dalla subitanea condanna di costui, si aggraverà se rimarranno impuniti i suoi complici, quelli che tuttora ne celebrano i fasti e le gesta.
Con la somma salvezza dello Stato, o Catilina, con la rovinosa distruzione tua e di quelli che si sono uniti a te in ogni delitto e nefandezza, piega il capo e il ginocchio al volere della Giustizia.
Tu, Giove, il cui culto è stato stabilito in questo luogo da Romolo con gli stessi auspici con cui è stata fondata Roma, tieni lontano costui e i suoi sodali dai tuoi templi e dalle Istituzioni, dalle case e dalle mura delle città italiche, dalla vita e dai beni di tutti i cittadini; e questi uomini, avversi ai buoni, nemici della Patria, predatori dell'Italia, uniti da un patto delittuoso e da una nefasta amicizia, puniscili vivi e morti con eterni supplizi.

Passi scelti (liberamente tradotti e interpretati) tratti dalla Prima Orazione contro Catilina, pronunciata in Senato da Marco Tullio Cicerone l'8 novembre 63 a. C.

Chi volesse approfondire la conoscenza con l'autore, vada sul suo blog: bloggherellando

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